La responsabilità personale? Un pensiero sovversivo.
Gramellini, La Stampa, 8/2/2008
Se qualche politico italiano decidesse all'improvviso di ispirarsi a Barack Obama, potrebbe trovare utile la lettura delle tre righe con cui il senatore dell'Illinois si rivolge su internet agli americani per ottenere finanziamenti:
«Io non vi sto solo chiedendo di credere nelle mie capacità di realizzare il vero cambiamento a Washington. Io vi sto chiedendo di credere nelle vostre».Sono questi richiami retorici alla responsabilità di ogni individuo che fanno scorrere i brividoni lungo la schiena degli eredi dei pionieri.
Ora, provate a immaginarle pronunciate in Italia davanti a una platea di elettori, magari progressisti, ma sicuramente furenti con lo Stato per i suoi disservizi e con la Casta per i suoi privilegi.E' probabile che a mietere applausi sarebbero i richiami ai diritti e non ai doveri, alle colpe degli altri e non alla necessità di impegnarsi in prima persona.
E' da qualche tempo, circa un paio di millenni, che l'italiano medio tende ad affidarsi a chi promette di risolvergli un fastidio più che a chi tenta di coinvolgerlo in un'avventura.
E se proprio si innamora di un sogno, privilegia quello che gli costa meno fatica, delegando a qualcun altro la soluzione dei problemi collettivi e mantenendo per sé l'esclusiva del lamento e del mugugno.
Per fare gli americani, nel bene e nel male, serve la materia prima: gli americani, appunto.
Loro si rispecchiano in Obama che dice «We can», ce la possiamo fare.
Noi nel Funari di Corrado Guzzanti che borbottava: «Gna famo».
mandato da Rinaldo Lampis il Giovedì Febbraio 14 2008
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